Con la legge Basaglia, oltre ad ordinare l’eliminazione dei manicomi, si ribattezzavano i Manicomi Giudiziari in Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Più per coerenza dei nomi che per altro: la legge infatti non prevedeva alcun intervento sostanziale su questi istituti. La questione è che il Manicomio Giudiziario era incastrato in un sistema autoregolatore: la maggior parte dei suoi pazienti, una volta sentenziati, venivano spediti al Manicomio. Una volta eliminato quest’ultimo, i nuovi battezzati OPG finiscono per essere degli spazi non ben definiti, altalenanti tra sistemi di sorveglianza carceraria (telecamere, secondini, celle, ecc.) e sistemi ospedalieri d’arbitrio medico-psichiatrico.
Le segnalazioni non sono poche: i suicidi si susseguono da anni (dai “pazienti-criminali” ai direttori stessi); condizioni igieniche pessime; maltrattamenti e letti di costrizione; sovraffollamento e proroghe d’internamento senza fine.
Il 17 gennaio di quest’anno la commissione di giustizia del Senato ha approvato all’unanimità la chiusura definitiva degli OPG entro il 31 marzo del 2013. È una buona notizia, ma non c’è certo da stappare bottiglie e fiondarsi sui buffet: abbiamo buona memoria del tempo che c’è voluto a serrare i manicomi dopo la legge 180. Detto ciò, in attesa di sapere le intenzioni della legge e di chi ne applicherà gli ordini, assaporiamo un po’ di quell’amara spossatezza da sistema che ultimamente ha prodotto uno dei suoi frutti più curiosi: l’Associazione Familiari Imprenditori Suicidi.
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